Il cavallino di ghiaccio

Racconto di Andrea Corsini

(Dicembre 2011 - Yoga Italia, num. 75)

Il vento e il sole

C'era una volta, su un'alta montagna, un' immensa distesa di neve, circondata da ghiacci eterni.
Il vento giocava con la neve modellandone la superficie e, con la sua forza, creava strade, gallerie, torri merlate, palazzi incantati dalle guglie tortuose.
Il vento aveva innata la voglia di giocare e creare e, dopo aver costruito tutte queste forme, ne rimaneva lui stesso estasiato, rimirandole.
Il suo compiacimento, peró, non durava mai molto perché, appena il sole sorgeva, i raggi riuscivano a fondere i suoi capolavori. Piú ne creava, dando forma concreta alla sua immaginazione, piú il sole riusciva a distruggerli con il suo calore.
Tutto ció aveva l'apparenza di una guerra, anche se guerra non era, perché il vento e il sole non potevano che comportarsi cosí: il vento soffiare e modellare, il sole risplendere e riscaldare, cosí la neve diventava il loro campo di battaglia.

Un giorno il vento fece il suo capolavoro piú bello, un cavallino di neve, che per il gran freddo divenne di ghiaccio. Le sue forme erano perfette e ben proporzionate, era stato forgiato nell'atteggiamento di correre libero con la criniera al vento ed era cosí trasparente che la luce si rifletteva sulla sua superficie in mille colori cangianti.

Il vento, tuttavia, subito pensó al suo compagno di giochi, il sole, che sicuramente appena sorto avrebbe cominciato a farlo liquefare.
Anche il cavallino era consapevole della sua precaria esistenza e non sapeva davvero cosa fare, essendo la sua natura di ghiaccio e non di qualche altro materiale resistente al calore.

Il vento allora, poco prima del sorgere del sole, spinse con un soffio la sua opera dentro ad una grotta dell'alta montagna.
Il cavallino lí si sentiva al sicuro, ma faceva freddo ed era tanto buio.
Per passare il tempo, contava le gocce che cadevano dal soffitto della grotta, cercando di scoprirne la segreta melodia.
Non poteva neppure accendere un fuocherello, che lo avrebbe sicuramente illuminato e riscaldato, perché il calore di ogni fuoco era per lui pericoloso.
Peccato essere cosí belli e cosí fragili! Peccato non poter correre liberi con la criniera al vento come la sua immagine suggeriva!
Un giorno, poi, fu talmente stanco di questa situazione, che decise di uscire allo                                                                                                scoperto.

Chiamó il vento, che subito accorse e lo risucchió fuori verso la luce e il calore del sole.
Al cavallino non importava piú di morire, di perdere le sue forme, la sua identitá, ma era stanco di tutto quel freddo e di tutto quel buio.
Il vento e il sole, i due contendenti, per qualche attimo rimasero immobili ad osservare il cavallino e la sua fine.
La statua di ghiaccio cominció a gocciolare , a perdere le sue forme perfette che divennero sempre piú imprecise, le zampe si piegarono e la testa con la bella criniera si chinó verso terra.
Proprio mentre stava per scomparire, ecco che avvenne forse un miracolo: quando l'ultimo strato si sciolse, venne alla luce il corpo di un cavallino vero che il ghiaccio semplicemente ricopriva, come una dura armatura.



Il cavallino tutto contento salutó il vento e il sole e,
per davvero,
corse libero verso l'orizzonte con la bella criniera al vento.






La strada

Il vento e il sole, le due forze antagoniste, il creatore e il distruttore, ricambiarono l'allegro saluto del cavallino ora non piú di ghiaccio, ma di carne ed ossa.
Egli dapprima corse senza meta, ebbro di una libertá mai vissuta.
Ascoltava il battito degli zoccoli contro il suolo e gli sembrava di udire il cuore della terra pulsare ritmicamente.
Quando correva su un terreno secco, sollevava un gran polverone che ovattava suoni e colori, intorno; gli piaceva sentire il ritmo smorzato che il suo galoppo produceva, se calpestava un tappeto erboso; mentre, quando entrava in un bosco, doveva procedere a zig zag per non urtare gli alberi e questo per lui era il divertimento piú grande.
Nel guadare un fiume con l'acqua bassa ascoltava il melodioso sciacquio dei suoi zoccoli ed, estasiato, lasciava che gli spruzzi gli lambissero il corpo.

Concedeva alle sue zampe il compito di condurlo, senza una meta precisa, senza calcoli né aspettative, e cosí correva libero di spiaggia in spiaggia, di prato in prato, di strada in strada; tutto era sempre nuovo e non si annoiava di certo. Correva a sud, a nord, ad ovest e ad est.
Quando il sole tramontava fermava la sua corsa e rimaneva incantato ad osservare il momento in cui il giorno confina con la notte, quando i colori si smorzano e la luce diventa tenue, quando arriva il momento del riposo.
Lui, felice, si addormentava sotto un albero ed aspettava con trepidazione il nuovo giorno per riprendere la sua corsa senza meta, godendo di tutto ció che la strada gli portava innanzi.
Un giorno, peró, si rese conto con dispiacere che non tutte le strade gli erano accessibili e che, in fondo, non era poi cosí libero come pensava di essere: quando era notte, doveva fermarsi perché non riusciva piú a scorgere il cammino; i fiumi in piena erano per lui una barriera insuperabile, cosí come le paludi, le montagne scoscese, i boschi troppo fitti, quelli in cui non poteva passare tra un albero e l'altro, ed, infine, le cittá con il traffico caotico che, per lui, rappresentavano un serio pericolo.
Si sentí avvilito ed in piú gli accadde un piccolo incidente: mise lo zoccolo in una buca e si azzoppó.
Non era piú in grado di galoppare e doveva accontentarsi di andare al passo.
La sua vita, a causa di ció che era accaduto, prese un ritmo molto piú lento e lui divenne maggiormente osservatore e riflessivo.

Aveva, cosí, il tempo di esaminare accuratamente ogni cosa che la strada gli poneva sotto gli occhi ... e tutto gli sembrava diverso.
Scoprí cose che , a causa della fretta, non aveva mai visto né saputo apprezzare.
Di alcuni alberi notó per la prima volta strane caratteristiche, come la betulla che in primavera si squama e la cui corteccia bianca sembra staccarsi dal tronco ... e notó il guizzo dei salmoni, quando con un balzo risalgono le cascate, nella stagione in cui depongono le uova alla sorgente dei fiumi ... e vide gli arcobaleni dopo i temporali, le libellule azzurre dei laghi, la prima neve come polvere bianca sulla cima delle montagne, il bucaneve, fiore di primavera, che, con la sua forza, riesce a forare il ghiaccio ... tutte meraviglie che una volta gli erano nascoste e che ora aveva il tempo di osservare e gustare. Continuando a guardarsi attorno con occhi piú attenti, imparó molte cose, diventando riflessivo e ponderato.
Gli venne cosí spontaneo porsi le grandi domande dell'esistenza: si chiese il perché e quale fosse il significato della vita.

Il risveglio

Anche quando la zampa del cavallino fu guarita perfettamente ed egli fu di nuovo in grado di correre come prima, la sua andatura rimase lenta e il suo procedere pensieroso.
Mille dubbi cominciarono ad assalirlo e, quando si trovava ad un bivio, non sapeva piú che strada prendere.
Aveva sempre paura di incontrare un fiume in piena o un bosco troppo fitto. Quando poi la sua strada attraversava un tappeto erboso, quello che una volta gli dava tanta gioia, sentiva dentro la compassione per tutti i fili d'erba che i suoi zoccoli avrebbero calpestato.
Se attraversava un bosco, andava al passo, guardando sempre a terra perché aveva paura d'inciampare e di cadere a causa di una radice troppo sporgente.
La sua vita divenne monotona come la sua andatura e, nonostante tutto il suo elucubrare, a quelle domande che si era posto non riusciva a rispondere.

Un giorno, poi, piú stanco ed annoiato che mai, vide su una foglia di gelso un verme peloso dai vivaci colori.
Si incuriosí e rimase ad osservarlo. Il verme cominció ad emettere una bava bianca in cui si avvolse lentamente, con grande pazienza. Il bruco colorato era scomparso e, al suo posto, era rimasto solo una specie di uovo bianco e setoso.
Il cavallino pensó che l'animaletto fosse morto e che quello era un modo laborioso ed originale per autodistruggersi.
Dopo qualche tempo, ripassó accanto all'albero di gelso e si ricordó del bruco. Rivide sulla foglia il bozzolo bianco che, peró, ora presentava un foro.

Attraverso di esso, ne vide uscire un insetto che, appena fuori, dispiegó due meravigliose ali colorate e se ne voló via verso un prato fiorito.
Il cavallino, interdetto, si domandó come fosse possibile che un verme quasi morto, rivivesse e addirittura smettesse di strisciare, iniziando a volare.
Ci rifletté molto, fino a perdere il sonno.
Poi all'improvviso, venuta da non si sa dove, gli balenó in mente un pensiero: “ PER VIVERE VERAMENTE, DEVI IMPARARE A MORIRE.
Queste parole, che pure lo sconcertavano ed impaurivano, non gli uscivano piú di mente.
Non aveva nessuna intenzione di morire proprio ora che era riuscito a sciogliere la sua corazza di ghiaccio.
Una mattina molto presto, quando il sole iniziava a sorgere, capí che, forse, non era richiesto il suo sacrificio fisico e la perdita dell'esistenza, che non doveva abbandonare ció che amava.
Puó darsi che quella frase gli suggerisse, invece, di uscire fuori dal “bozzolo” che anche lui si era costruito proprio come il verme colorato. Capí che doveva lasciare le sue paure, la ansie, i dubbi, le estenuanti ed inutili elucubrazioni.
Comprese che, se ce l'avesse fatta ad uscire da tutte queste cose, si sarebbe sentito talmente leggero da riuscire forse anche lui a prendere il volo.

Ma in concreto cosa doveva fare? SOLO PROVARCI.
Non ce la fece subito, ma appena ebbe sufficiente fiducia e sicurezza in se stesso e nei suoi mezzi, si sentí rinascere.
Gli sembró di ritornare com'era prima, quando aveva iniziato la sua corsa gioiosa.
Capí che l'incidente non era stato altro che un mezzo salutare per far sí che in lui si sviluppasse una coscienza che, ai tempi della spensierata libertá, non possedeva.
Di nuovo felice, riprese a correre verso l'orizzonte con la criniera al vento, senza calcoli né aspettative, contento di tutto ció a cui la strada lo conduceva, di spiaggia in spiaggia, di prateria in prateria.


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