Il mestiere dell'allievo

di Andrea Corsini

(Settembre 2007 - Yoga Italia, num. 58)

Il principiante all’inizio viene mosso dalla curiositá, poi entra in una fase di ricerca seria in cui predomina l’analisi per approdare infine allo stadio in cui danza insieme alla vita in ogni istante

LA PRIMA FASE È DENOMINATA KUTAL

È lo stadio di colui che si avvicina allo yoga per semplice curiositá, è come un bambino curioso che si interessa un po’ a tutto ma, appena incontra una difficoltá anche lieve, tende a cambiare strada interessandosi subito ad altro perché, in quel momento, gli pare piú stimolante. Dopo rimanda od omette quello che dovrebbe fare ( la sua sadhana) con motivazioni sovente di comodo o non convincenti.
L’esempio, che rende l’idea di questa attitudine, è quella del contadino che per trovare l’acqua scava una serie di buche di pochi metri di profonditá e, non trovando nulla, cambia continuamente posto senza mai raggiungere la profonditá sufficiente per ottenere un risultato tangibile.
Bisognerebbe concludere la sadhana iniziata prima di intraprenderne un’altra, superando le eventuali difficoltá e resistenze che si incontrano.

JIGYOSA È LA SECONDA FASE

È una fase di ricerca molto seria, spinta da motivazioni profonde e limpide ma la tendenza predominante è l’analisi. Questo modo di fare porterá l’allievo a diventare un filosofo, ma non un uomo di fede. Pensa molto, riflette, tende a sviscerare ogni situazione e problema che incontra; potrá scoprire nuove chiavi di letture, ma tutto rimarrá a livello mentale e razionale. Sará difficile per lui entrare in uno stato interiore di meditazione, perché non si abbandona, non lascia da parte la sua razionalitá, che in questo caso gli è d’impedimento, ma nella vita ordinaria di conforto e di aiuto.
Se riuscirá ad entrare nello spazio del cuore, delle emozioni dapprima e del silenzio dopo, capirá che la ragione non è tutto e che manca qualcosa per sentirsi completo ed appagato.

MUMUKSHA È LA TERZA FASE

In questa fase l’allievo elimina la sofferenza prodotta dalla lotta interiore con se stesso, raggiungendo una condizione di pace, ma è come in un deserto. Tende ad isolarsi per poter mantenere questa pace, si mette al sicuro dal mondo esterno. Non vuole correre pericoli di sorta. È una forma di attaccamento verso questa situazione di tranquillitá che, peró, lo aliena dal mondo reale e dalla vita vissuta. Non è sicuramente in stato di yoga.
L’allievo gode ora di pace e tranquillitá genuina. Non è piú aggrappato ad un’attitudine rigida e perció fragile. E’ giá interiormente morbido, ma qualcosa in lui deve essere perfezionato ...
Se ti avvicini a lui senti la pace profonda che emana, ma capisci che è seduto su una vetta molto alta.
Gode i frutti della sua meditazione quotidiana: silenzio, calma, serenitá. Per essere completo gli manca ancora qualcosa.
È in questa fase il coronamento della pratica, il frutto piú ambito della ricerca: danzare insieme alla vita in ogni istante. Abbandona, ora, ogni tecnica, ogni regola, ogni maschera, ogni ruolo. Non indossa divise, non deve piacere o essere convincente, non vuole piú arrivare da nessuna parte perché è parte del tutto, come lo è sempre stato fin dall’inizio. La sua comunione con la vita è continua e totale. In lui c’è un’urgenza inarrestabile di trasformazione. L’allievo è diventato un Maestro, pur rimanendo con una mente da principiante.

Il samadhi è vicinissimo a colui che lo cerca con cuore sincero e desiderio intenso (ispirato al Sutra I- 21-)

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