Il mestiere di insegnante

di Andrea Corsini

(Dicembre 2006 - Yoga Italia, num. 55)

Il compito dell’Istruttore di yoga è di trasmettere agli allievi uno stato di coscienza

L’insegnante deve stimolare nell’allievo il raggiungimento di uno stato interiore di consapevolezza e di “presenza” definito STATO DI YOGA.
Secondo la tradizione tramandata da Gérard Blitz, chi insegna, quindi, deve saper trasmettere - attraverso l’ESPERIENZA della propria TRASFORMAZIONE interiore - il giusto approccio alle tecniche yoga. L’insegnamento, anche se stimolato dalla propria esperienza personale, deve mantenere un profondo rispetto verso la trasmissione originale dello yoga.
Nella tradizione classica il filo conduttore si ritrova nei SUTRA di Patanjali.
I testi parlano di TRASFORMAZIONE ed indicano, con mezzi concreti, la VIA per affrontare il percorso evolutivo.
L’insegnante deve saper trasmettere all’allievo l’esigenza di accettare una disciplina (SADHANA) che lentamente lo porterá:

dalla DISPERSIONE alla COSCIENZA
dalla PERIFERIA verso il CENTRO
dal MOVIMENTO all’IMMOBILITÀ

Inizialmente l’insegnante trova difficoltá a far comprendere all’allievo che il cambiamento in atto manifesterá i suoi frutti nel tempo; deve perció rimanere in costante relazione con lui nei momenti di dubbio e di scoraggiamento.

Cosa vuol dire ESSERE COSCIENTI?
é la capacitá di sentire la Vita con un approccio senza barriere, è vivere l’istante e coglierne il significato, è ascoltare in se stesso il continuo cambiamento come il fluido sempre nuovo dell’acqua del fiume.
Come puó l’insegnate condurre l’allievo a questo ascolto?
Soltanto la pratica ha il potere di trasformare l’attitudine iniziale dell’allievo; l’esperienza lo stimola a superare le barriere e le difficoltá che si presentano lungo il percorso. Il nuovo stato di coscienza raggiunto gli permette di rimanere in relazione con la VITA.
* Insegnare YOGA è insegnare uno stato di COSCIENZA e non solo una forma da copiare o una tecnica da eseguire.
L’insegnante deve cominciare a sviluppare nell’allievo l’abilitá a mantenere l’attenzione su un oggetto, affinché questa diventi permanente a livello fisico e respiratorio.
L’allievo allora puó affrontare le attivitá quotidiane senza lasciarsene coinvolgere ed assorbire completamente, dimenticandosi di se stesso; rimane cosí in contatto con il corpo ed il respiro attraverso la propria consapevolezza.
Comincia a restare in alcuni momenti presente come osservatore, come spettatore (DRASTUH - testimone - Sutra I- 3- )
L’attenzione lavora a livelli sempre piú sottili, meno identificata con il mondo esterno e con una nuova attitudine ad interiorizzare l’esperienza anche ad occhi aperti e nel frastuono del quotidiano. Infine l’allievo rimane in relazione piú continua con questo stato, vissuto come un TESORO da non sciupare, da non disperdere alla prima contrarietá, al primo disagio.
é importante, per un insegnante, non voler convincere, ma sviluppare le condizioni nel corpo e nel respiro dell’allievo affinché lo stato di YOGA si produca da solo come risultato della SADHANA.

A questo fine ci sono tre cose importanti da tenere presente:

i TESTI classici
i MEZZI dell’Astanga -Yoga di Patanjali, Yoga dagli Otto Gradini
l’ESPERIENZA che deve essere trasmessa e condivisa

* Nei TESTI si cercano delle conferme, delle verifiche su quanto sperimentato durante la pratica. Quando lo stato di Yoga si produce, qualcosa in noi si TRASFORMA e poi si manifesta spontaneamente nella vita: come un fiore che diventa frutto.
* I MEZZI ci portano a contattare dapprima il corpo e poi il respiro. Non possiamo intervenire direttamente sulla mente,usiamo a questo scopo gli Otto Gradini di Patanjali che sono: YAMA-NIYAMA, ovvero il comportamento etico nella societá, ASANA-PRANAYAMA-PRATYHARA, la via esterna e l’azione, DHARANA-DHYANA-SAMADHI, il samyama, lo stato interiore raggiunto dopo l’azione, la via interna.

La pratica parte da ASANA e deve concludersi con PRANAYAMA e DHYANA, portando l’allievo in comunione con se stesso per affrontare poi il mondo esterno e le attivitá quotidiane con maggiore coscienza.
Il passaggio da Asana a Pranayama è naturale, cosí come lo è quello da Pranayama a Dhyana. Sono bisognosi di quel momento. Sono il lento salire dei gradini della scala di Patanjali che deve portare il praticante verso la meta.
Lo stato di Yoga che è lo scopo della pratica puó essere riassunto sommariamente come pace mentale, equilibrio interiore, stato di non dispersione o centratura. Gli orientali questo stato di coscienza l’hanno definito in vari modi: TAO, NIRVANA, ZEN, SATORI e anche, ovviamente, SAMADHI.
Stato di YOGA li riassume tutti ma come si manifesta, come riconoscerlo qualora si presentasse inaspettato ospite della nostra coscienza al termine di una SADHANA?
Sentimenti, emozioni potrebbero rivelarsi in vari modi e sfumature, ma sicuramente molto simili a questi stati di coscienza sotto indicati: pace, gratitudine, riconciliazione, grazia, riconoscersi, forza rigenerante, distacco, spazio e libertá, sensazione di poter rompere le catene, emozione pura, appartenenza, comunione, unione, contatto con la propria essenza, gioia senza oggetto.

* Lo Yoga è Samadhi, dice Vyasa: YOGA SAMADHIH
La confusione puó nascere perché i mezzi e il fine hanno lo stesso termine: YOGA

* Lo scopo è la vita, lo yoga è solo un mezzo.
Per il corretto uso dei mezzi dobbiamo seguire passo passo le istruzioni di Patanjali , si veda il secondo libro degli Yoga - Sutra, appunto SADHANA PADA per lo Yoga esterno e VIBHUTI PADA per lo Yoga interno.
L’efficacia di una pratica non è dovuta alla complessitá della sequenza né al numero degli Asana o alla loro varietá, ma alla capacitá intrinseca di risvegliare la “presenza” nell’allievo.
L’ESPERIENZA dell’istruttore deve portare l’allievo ad una scoperta graduale del significato e del messaggio della pratica.
I testi vengono fatti “passare” senza leggerli: sono la presenza della pratica e portano a “sentire” lo yoga attraverso un impercettibile cambiamento di coscienza. Sono come una luce che rischiara le tenebre della confusione, dell’ignoranza esistenziale. Dopo l’esperienza, l’istruttore deve aiutare a chiarire ed a confermare il nuovo stato di coscienza. Parlarne prima dell’esperienza personale, servirebbe solo a creare ulteriori contenuti mentali disturbanti nell’allievo.
L’insegnate è realmente presente quando l’allievo è pronto ad “ascoltare” e la sua ciotola mentale si è ormai svuotata.
Anche l’insegnante deve svuotare continuamente la sua ciotola.

Consiglia Swami Veda Barati: "Dobbiamo sedere al nostro posto un’ora prima della lezione ed entrare in meditazione".
* Sará la meditazione ad insegnare per noi.

L’insegnamento deve partire dagli ASANA per sviluppare la coscienza del corpo ma non deve fermarsi al corpo come obiettivo finale.

Patanjali ci viene in aiuto con i ben noti Sutra, mai sperimentati abbastanza:

II- 46- La posizione deve essere stabile e comoda
Se viene realizzata con uno sforzo non è un Asana. L’allievo deve imparare a lasciar fluire la sua energia senza entrare in competizione con i propri limiti fisici per “copiare” gli ASANA avanzati. In questo caso si contrae, blocca le sue energie e perde il contatto reale con il suo corpo.
Non deve in nessun caso spingere o tirare come, per esempio, in Paschimottanasana (la pinza) per portare la fronte alle ginocchia.
II- 47- Abbandonare ogni sforzo per entrare in una condizione d’infinitá.
La condizione d’infinitá intesa come attitudine mentale LIBERATA è il premio, per il modo non violento e senza EGO, di praticare gli Asana.
L’INSEGNANTE deve stare attento che nell’allievo esperto e sempre piú “bravo” nelle posture non cresca la vanitá, perché rischierebbe di disunirsi dalla condizione d’infinitá.
II- 48- In seguito cessa il disagio provocato dalla coppia degli estremi.
Lo stato di meditazione è nell’approfondimento di asana, quando la mente ha raggiunto uno stato di distacco da ogni “disturbo esterno”.

Si puó, quindi, dire che l’intero percorso è in tutti gli anga (mezzi) e cioè, per fare un esempio di esecuzione di un qualsiasi asana, vivendo l’integrazione simultanea di tutti i livelli:

Sono in asana
Respiro naturalmente con coscienza e quindi sono in una forma semplice e spontanea di pranayama
Sto ascoltando il corpo ed il respiro a occhi chiusi: sono quindi nella fase di ritiro dei sensi e di concentrazione (pratyahara - dharana)
Se la mente ha raggiunto una condizione d’infinitá rinunciando allo sforzo, sono in meditazione (dhyana)
Se non sto facendo l’asana, ma SONO l’ASANA, vivo l’integrazione e quindi lo YOGA sperimentato come cambiamento interiore di COSCIENZA.

é questa la principale materia d’insegnamento.
La trasformazione dell’allievo è il risultato tangibile dell’insegnamento.

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