Tapas: la spinta all'ascesi

di Andrea Corsini

(Dicembre 2007 - Yoga Italia, num. 59)

L’uomo vive in un sistema di vita pre-ordinata da esigenze politiche, sociali, finanziarie e amministrative, dove viene “obbligato”, pena l’esclusione, ad inserirsi in schemi fissi.
Tale sistema dá risposte generiche all’individuo, tenendo esclusivamente conto delle sue esigenze materiali e di “look” esteriore.
Una parte dell’uomo, molto importante, la sua essenza si spegne perché egli vive solo “a settori” e non in modo olistico.
Si ha allora l’atleta che sviluppa e trova soddisfazione nel potenziamento e perfezionamento del suo corpo. L’intellettuale affamato di cultura e di notizie, il tecnico che trova il massimo appagamento nell’uso smodato del computer, dove premendo un tasto riceve una risposta programmata.
E’ molto lontano il sentimento dell’avventura, dell’imprevisto, dell’ignoto, dell’indeterminato. Eppure l’uomo si sente vivo quando prova un’emozione che puó tradursi in una spinta all’ascesi che lo spinge a sollevarsi dalla cruda e sovente snervante materialitá quotidiana.

“Non di solo pane vive l’uomo ...” Matteo 4-5

L’esigenza dell’ascesi,peró, lo distingue dai minerali, dalle piante e dagli animali. Quando questa esigenza non viene piú ascoltata, l’uomo si specializza a livello cerebrale in modo unidirezionale potenziando al massimo la sua parte razionale che ha sede nell’emisfero sinistro e maschile dimenticandosi dell’esistenza dell’altro emisfero: destro e con qualitá femminili. La ricerca della sua parte profonda o essenza, che trova eco nell’emisfero destro viene sepolta, dimenticata e invalidata.
La ricerca assume, allora, sembianza stereotipate legate al raggiungimento del benessere materiale: successo, potere, denaro, bellezza fisica legata ai canoni prevalenti in quel determinato momento. L’apparire piuttosto che l’essere domina la scena sociale e quindi il modo di parlare, di vestirsi, di muoversi assumono una rilevanza straordinaria. Tutto è basato sul “sembrare” e magari sull’essere “identitici” e quindi diventare una pallida fotocopia di qualcuno molto famoso e quindi molto ammirato e invidiato.
E’ lontana la spinta all’evoluzione interiore, il rapporto inter-personale, in queste condizioni, non puó che diventare superficiale e generico, il piú delle volte dettato esclusivamente da necessitá, calcolo, abitudini di vita e da noia: per riempire i vuoti esistenziali.
Se, invece, l’uomo scopre che il suo appagamento non consiste esclusivamente nel possedere la turbo, l’abito griffato, il quoziente intellettuale al di sopra della media, nel partecipare ad un convegno letterario, ad un drink importante, nell’avere una etichetta o meglio una nevrosi alla moda. Allora comincia a sentire un vuoto, come se la terra non fosse piú in grado di sorreggerlo. Potrá dapprima nascondersi o fingere di stare al gioco, ma “gli altri - i replicanti-“presto o tardi lo smaschereranno. Gli diranno che si è montato la testa, che non sará certamente lui a cambiare le regole del gioco. A bruciapelo gli domanderanno: “ Ma chi ti credi di essere, un nuovo S. Francesco. Ritorna con i piedi per terra e pensa alla salute.”
Ma egli non li capirá e gli altri non capiranno lui.
Un baratro ormai si è aperto tra di loro. Egli è entrato nella schiera degli insoddisfatti, dei dubbiosi, di quelli senza certezze e risposte pronte per ogni evenienza e situazione.

Quando hanno chiesto al Buddha il senso della vita ha risposto “Non so”.

Egli è ora entrato nella schiera dei diversi, dei curiosi, di coloro che cercano di penetrare la realtá materiale per scoprirne i significati reconditi. Nasce cosí nell’individuo l’esigenza di trovare “le risposte” ai suoi quesiti che gli permetteranno di comprendere il significato dell’esistenza e la ragione del suo deambulare sulla terra, non piú come un fantasma ma come un uomo.
Queste domande bussano incessantemente, di giorno e di notte, alla porta della sua coscienza.
Le risposte giá confezionate non gli sono sufficienti.
Si accorge, improvvisamente, di essere ignorante -avidya, l’ignoranza metafisica- di non saper rispondere ai quesiti fondamentali dell’esistere.
Si sente piccolo, indifeso, debole, alla mercè di tutti che ora gli appaiono forti, determinati convinti e motivati.
Gli sembra di diventare sempre piú debole, malato, stanco.
La morte gli pare, ora, una liberazione, da questa insostenibile sofferenza interiore che non dá apparenti risultati e certezze: le tenebre lo avvolgono come in un sudario.
Interiorizza sempre di piú perché ha capito che la risposta è giá dentro di lui deve solo lasciarla emergere. In questo particolare momento evolutivo non ha bisogno di buoni consigli o di incoraggiamenti pietosi, nessuno lo puó aiutare. Gli sembra di scendere sempre piú profondamente per una scala a chiocciola e sempre piú buia verso l’interno, il centro di se stesso, il sacro Tempio del Cuore. Si incammina titubante verso l’ignoto, l’inafferrabile.
Deve svuotarsi del vecchio se vuole riempirsi di una Vita Nuova. Nel buio cerca la strada senza scorgerla, inciampa, cade, si ferisce. Ogni volta che cade trova miracolosamente in se stesso la forza di rialzarsi. Cerca a tentoni “il sentiero” sostenuto soltanto dalla sua fede.
La voce della ricerca interiore si fa udire alle sue orecchie dell’anima:

“Voce dal profondo,
sempre senza fine,
ecco io vengo
ti seguo senza meta.”
Poesia Zen


Capisce che puó anche perdersi, perché dentro di lui lo spazio è immenso e senza punti di riferimento c’è il rischio di smarrirsi, proprio come in un deserto.
Dopo un lungo girovagare a vuoto, è ora molto stanco e scoraggiato
non gli rimane che affidarsi alla preghiera.
Si inginocchia, il capo tra le mani, il fiato corto, chiede aiuto disperatamente a quelli che come lui sono voluti uscire dalla schiera dei replicanti e l ’hanno preceduto sul sentiero ignoto, a coloro che ancora dovranno incominciarlo, a Colui che è il movente di entrambi.
Il fuoco di brace che covava silenziosamente sotto le ceneri del suo braciere interiore improvvisamente si infiamma e lo illumina di una luce accecante:

“Bisogna che voi nasciate di nuovo;
il vento soffia dove vuole,
tu ne odi la voce
ma non sai da dove venga,
né dove vada: cosí capita
ad ogni cosa nata dallo Spirito.”


Il viandante è rimasto cieco, per il mondo,
ma ora finalmente ha trovato Se’ stesso.

Dal primo paragrafo della tesi- Maestro e discepolo- presentata all’ISFIY Milano 1985.



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